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Come un rosario di suoni sgranati, come un mulino tibetano regolato da una pazienza celeste: così, nelle parole di Mario Bortolotto, apparve la musica quieta e smisurata di Morton Feldman all'orizzonte della Neue Musik. Ma se la novità radicale rappresentata dall'irruzione di Feldman sulla scena newyorkese fu in quel modo di comporre diverso da ogni altro (compreso quello del suo maestro Cage), ciò che sorprende per contrasto nei suoi scritti è la scintillante vivacità di una penna la cui verve polemica e incurante ironia ancora oggi lasciano il segno. Nessuna tenerezza per Darmstadt. Questi pensieri verticali sono come frecce avvelenate che si incuneano fra i resti di alcune inscalfibili certezze, corrodendole dall'interno. Una meditazione sulle essenze musicali, e sul tempo - "è la scansione del tempo, non il Tempo in sé, che è stata spacciata per l'essenza della musica" scrive Feldman. E ancora: "A me interessa come questa belva vive nella giungla, non allo zoo" -, ma anche sui fili misteriosi che legano da sempre Arte e Società: "la società, per come la vedo io, è una specie di mastodontico apparato digerente, che tritura qualunque cosa gli entri nella bocca. Questo smisurato appetito può ingollare un Botticelli in un sol boccone, con una voracità da terrorizzare tutti tranne il guardiano di uno zoo. Perché l'arte è così masochista, così desiderosa di essere punita? Perché è così ansiosa di finire dentro quelle gigantesche fauci?".